Già da molti anni l’uccellagione (la cattura indiscriminata di uccelli) è vietata, nel nostro Paese come in tutta l’Unione europea. Tuttavia, se pure in condizioni controllate, la normativa consente la cattura di alcune specie di uccelli selvatici a fini sia amatoriali che di richiamo. Centinaia e centinaia, in questi anni, sono stati gli impianti di cattura autorizzati dalle Province, soprattutto nel Nord Italia, con una media che supera i 150 impianti attivi all’anno, per un numero altissimo di piccoli uccelli imprigionati.
La cattiva gestione di questa pur legale pratica ha attirato le critiche anche della Commissione europea, che ha aperto un’inchiesta contro l’Italia per capire come la materia è gestita e chiedere regole più rigide. Ma questo non basta. Il punto non è più quello di regolamentare meglio la pratica, bensì di cancellarla. Molto importante, in questo senso, è ciò che ha affermato di recente la Corte di Cassazione, evidenziando la brutalità e l’inaccettabilità di una tradizione che va ormai considerata come una forma di maltrattamento degli animali. “Nulla più dell’impossibilità al volo - scrive la Cassazione - è incompatibile con la natura degli uccelli”. Il che equivale a dire: gli uccelli devono essere liberi e non costretti in gabbia. I richiami vivi, aggiungiamo noi della Lipu, vanno definitivamente aboliti.
Richiami vivi: i numeri dell’odiosa pratica
- 7 le specie di uccelli utilizzati come richiami: allodola, cesena, merlo, tordo sassello, tordo bottaccio, colombaccio, pavoncella
- 459 gli impianti di cattura autorizzati tra il 1994 e il 2005
- Oltre 170 gli impianti mediamente attivi ogni anno
- 6 le Regioni che autorizzano la cattura degli uccelli
- Lombardia la Regione con più impianti di cattura (50-60 ogni anno)
- Parma la prima e unica Provincia italiana ad aver vietato l’utilizzo dei richiami vivi